Realismo Capitalista: un’alternativa c’è, secondo Fisher

Copertina di Realismo Capitalista, M. Fisher (Nero, 2018)
Copertina di Realismo Capitalista, M. Fisher (Nero, 2018)

Realismo Capitalista è un piccolo tesoro tascabile, breve e immancabile. La copertina ospita un’opera di Jon Rafman con rifiuti, mozziconi e tastiere di computer gettate in una natura crepuscolare e primigenia.

Realismo Capitalista va contestualizzato, sebbene sia tutt’oggi attuale. La prima edizione risale al novembre 2009, ovvero poco dopo la crisi economica del 2008. L’incisiva potenza di queste pagine reintroduce nella riflessione intellettuale inglese di sinistra autori come Zizek, Marx, Foucault, Deleuze, Kafka.

Fisher e la Cultural Theory

Mark Fisher è una personalità che oggi manca. Si suicida nel gennaio 2017.

L’abbiamo visto muoversi in diversi ambienti. Alcuni probabilmente lo ricordano per la sua partecipazione alla CCRU (collettivo Cybernetic Culture Research Unit, fondato da Nick Land e Sadie Plan e tra cui partecipò Kode 9, fondatore dell’etichetta Hyperdub) all’inizio degli anni ’90. I più, invece, lo ricorderanno per K-Punk, il personale blog in cui Fisher pubblicò articoli di approfondimento sulla cultura e la musica inglese.

Fisher fu un grande conoscitore e indagatore del suo tempo. Fu sostenitore della allora nuova corrente Jungle Drum and Bass, della musica dub step e di artisti del calibro di Burial, oltre ad essere egli stesso un raver. Queste, secondo Fisher, erano espressioni forti e fresche della nuova Inghilterra. Certo sarebbe riduttivo identificarlo solo come giornalista musicale: possedeva l’intelligenza e la sensibilità per decrittare le modificazioni in atto nella società occidentale, di cui la musica è certo espressione culturale potentissima. Inoltre, Fisher pubblicava articoli su testate importanti come il Guardian o The Wire.

Autore di Realismo Capitalista
Mark Fisher

<<There’s no alternative>>

Realismo Capitalista ordina e incorpora i pensieri di K-Punk in un libro che diventa presto famoso e discusso. Giunge in Italia molto più tardi, nel 2018, grazie alla controcorrente Nero Edizioni (editrice anche dello splendido Iperoggetti di Morton). La pubblicazione è arricchita da una interessantissima prefazione di Valerio Mattioli.

Il titolo del libro è, secondo Fisher, l’espressione con cui è possibile identificare l’ideologia propria del nostro tempo, alla quale siamo tutti assuefatti. Si è infatti così radicata nel nostro modo di pensare che siamo giunti al punto di pensare che <<è più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo>>. “There’s no alternative”, diceva M. Tatcher ai minatori in sciopero durante gli anni Ottanta. Fisher suggerisce che questa predisposizione sia una sorta di Velo di Maya, dato da una illegittima arrendevolezza della politica nei confronti della logica capitalista.

<<Ciò che è accettato come realistico dalla società è ovviamente predeterminato da scelte politiche. D’altro lato, un’idea può dirsi infatti affermata quando viene percepita come un principio naturale.>>

Come ricordato da tanti teorici radicali – siano essi Brecht, Foucault o Badiou – ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l’apparenza dell’ordine naturale, deve rivelare che ciò che viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza. Si tratta dunque di una constatazione della natura ideologica del capitalismo (si sente l’eco del Grande Altro novecentesco del Capitale: il comunismo sovietico), che Deleuze e Guattari già intuivano in Capitalismo e Schizofrenia, quando definivano il Capitale come “l’impasto informe di quanto è già stato”.

Mia, tua, nostra degenerazione

Questo libro è importante perché il destinatario è ognuno di noi. Non tratta infatti di sola economia, bensì delle alterazioni dovute da un sistema pensato e supposto come necessario ed inevitabile, degenerazioni che interessano la vita di tutti (perché il capitalismo è diventato la vita di tutti, non è più un’ideologia in senso stretto). L’influenza del Realismo Capitalista si dipana dunque in molteplici ambiti e Fisher ci accompagna nella chirurgica riflessione di alcuni di questi fenomeni socio-culturali, essenzialmente moderni.

Ad esempio, la percentuale di giovani affetti da disturbi psichiatrici e dunque lo stato di salute mentale della società in generale. I casi di nevrosi dell’uomo moderno (depressione, ossessioni e compulsioni, ansietà) sono registrati in costante e preoccupante aumento. L’uomo è teso a raggiungere target, ad essere performante, qualificabile per occupare un posto produttivo nella macchina capitalista. Invece di studiarli come singoli storie, Fisher ne sviluppa una narrazione onnicomprensiva la cui trama è un sistema che spinge lo stress a livelli altissimi, ed è capace di rendere l’individuo colpevole di essere troppo debole per sopportarlo.

Ancora: i rapporti para-cibernetici nel sistema educativo. La burocrazia tardo-capitalista si basa sull’interdipendenza del controllo e dell’autocontrollo e tale prassi riversa anche nella scuola. Fisher è stato insegnante e lamenta come l’apprensione del controllato si rivolga principalmente a superare il controllo piuttosto che a svolgere bene il proprio compito per fini di apprendimento. Il sapere ora si quantifica tramite test e esami.

Ancora: pensiamo alle controculture. Queste hanno vita paradossalmente breve, in quanto il capitalismo assimila all’interno del suo corpo qualsiasi sub-corrente, rendendole materiale di commercio. Un esempio calzante e vicino all’immaginario di tutti è, secondo Fisher, la musica di Kurt Cobain, il quale diventa moda e tendenza. Tutto è dunque commercializzabile, ma quanto di ciò che è “comunicato” è “effettivo”? Così, si spegne la potenza del messaggio anti-conformista con la facilità con cui si spegne la fiamma di una candela tra le dita.

Infine la relazione fasulla tra ciò che il tardo-capitalismo dice e quello che il tardo-capitalismo fa. Si pensi ad esempio al generale impulso capitalista verso la costruzione di una famiglia e la reale difficoltà per i genitori di mantenerla, principalmente in termini di tempo utile (ad oggi, per mantenere una famiglia entrambi i genitori devono lavorare). L’analisi della situazione genitoriale in Realismo Capitalista è molto acuta e mostra come l’impossibilità di fornire una prospettiva ai propri figli, renda i genitori fautori di una torpida permissività e di un’iperprotettività, riscontrabile quest’ultima nei compiti che si aspettano da un’insegnate.

Un diverso futuro possibile

Ciò che più affascina di Realismo Capitalista è la capacità di trasportare in termini empirici ed esemplificabili un tema che altrimenti rimarrebbe confinato in teoria. Inoltre, non vi è traccia di tecnicismi propri del discorso politicante, bensì il messaggio è espresso in metafore musicali, cinematografiche, popolari. Fisher affronta in poche pagine un problema che potrebbe riempire interi tomi, eppure la sua analisi non appare stringata e superficiale, ma accorata e viva. Per questo, nonostante gli anni trascorsi dalla prima pubblicazione, questo libro rimane attuale e urgente, ricco di umanità e sincera preoccupazione.

Non si tratta di un manifesto di politica spiccia, anzi. Realismo Capitalista critica la stessa sinistra inglese, a cui teoricamente potrebbe essere rivolto, la quale nel 2009 si divideva tra conservatrice e liberale. Se la prima anela un ritorno ad un’idea antica modernamente improponibile, la seconda pensa ad una sorta di capitalismo più etico, non nascondendo l’accettazione alla mancanza di alternativa.

Costa fatica. Ma Fisher chiede lo sforzo, alla politica così come ad ognuno di noi, di pensare fuori dall’impostazione ormai assunta dal nostro cervello per “mettere in discussione l’appropriazione capitalista della categoria del nuovo” e finalmente cominciare a pensare un “diverso futuro possibile”.

Per una nuova cultura

Questo saggio si configura in un tempo forse fin troppo giovane per contenere una soluzione al problema che identifica. Ne va dunque riconosciuta la brillante analisi del paradosso capitalista. Invece di cercarvi una delineata alternativa, ne va apprezzata la lucida esposizione dello stato delle cose. Realismo Capitalista racconta infatti la fine dell’evoluzione economica, sociale, culturale dell’occidente, segnata dalla crisi del 2008.

La crisi che ispirò Realismo Capitalista
Testata giornalistica riportante la crisi del 2008

Dopo il salvataggio delle banche, il neoliberismo si è trovato screditato. Questo non vuol dire che il neoliberismo sia da un giorno all’altro scomparso: al contrario, i suoi presupposti continuano a dominare la politica economica: ma non lo fanno più come ingrediente di un progetto ideologico mosso dalla fiducia per le proprie prospettive future, quanto come una specie di ripiego inerziale, di morto che cammina” (p. 148).

Fu l’inizio di degenerazioni quali i social network, il conseguente narcisismo del web, il calo del livello culturale offerto generalmente dalla tv (ne tratta ampliamente Ellis nel suo Bianco, edito da Einaudi, 2019). Fisher tratta profeticamente del crollo ideologico e del sistema dei valori, una società controllata con l’obiettivo di accumulare denaro <<per comprare cose che non ci servono>>, come dice Tyler Durden in Fight Club.

Dieci anni dopo la stesura, il libro è ancora attuale e descrive la decadenza del capitalismo e l’apparentemente insanabile crisi delle sinistre d’Europa.

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MONICA TRENTIN

MONICA TRENTIN

Laureata in filosofia e autrice di 3 romanzi, ama le palme, i vecchi film e l'astronomia. Crede nei libri perfino come miglior arrendamento possibile. Sua norma è vivere ad una distanza minima dal mare.

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