Bianco, Bret Easton Ellis racconta la cultura del consenso

Di chi è la penna che scrive

Copertina di Bianco, 2019 trad. di Giuseppe Culicchia, Einaudi, pagg. 271

Guardando la copertina di Bianco (in cui l’autore si tappa momentaneamente la bocca), l’aspettativa è notevole. Ellis, scrittore contemporaneo esponente della Generazione X, pubblicò a soli 20 anni (1985) il primo romanzo, Meno di Zero, che divenne presto un film (che non c’entra praticamente nulla) con un giovane Robert Downey Jr.

Nel 1987 pubblica Le regole dell’attrazione, altro film nel 2002 diretto da Roger Avary. Ma è nel 1991 che è pubblicata la sua opera più conosciuta, American Psycho. Le vicende del newyorkese Patrick Bateman, riassumibili all’estremo in “Yuppie di giorno-Assassino di notte”, rese indimenticabili dall’interpretazione di Christian Bale nella pellicola omonima. Poi: la raccolta Acqua dal Sole nel 1994, Glamorama nel 1999, Lunar Park nel 2005, Imperial Bedrooms nel 2010. Oltre a varie sceneggiature.

Le uniche informazioni previe alla lettura di Bianco sono 2. 1) Il testo è piuttosto autobiografico, un po’ come quell’inizio, seppur fittizio, di Lunar Park. 2) la nota personalità di Ellis, graffiante e contropelo (nei confronti dell’establishment e… bé, forse un po’ nei confronti di tutto).

Bianco è autobiografia

Nella sezione d’apertura, Ellis racconta l’infanzia nell’America degli anni ’70 e lascia intravedere le direttive dell’intero libro: vi era un mondo più diretto e sincero, meno iperprotettivo. Dal secondo capitolo, Recitare, all’ultimo, Oggi, la sensazione è davvero quella di un tuffo vertiginoso nella vita dell’autore. Dagli anni in cui visse a New York frequentando l’elite ricca e bianca, a quando prese le difese di Kanye West sull’altra costa degli USA, Bianco attraversa molti ricordi, tra cui l’11 settembre.

Ellis è solito raccontare la realtà in modo clinico, a tratti crudele. L’abitudine per i suoi lettori è però quella di confrontarsi con opere fiction, mentre in Bianco, Ellis racconta se stesso e la società in cui vive, usando come punto di vista il proprio. In quanto insider del mondo dorato dell’elite che vive nelle coste degli Stati Uniti, può spalancarne i cancelli. Al di là vi sono piani alti di Wall Street, personalità iconiche di Vanity Fair, registi hollywoodiani, attori e personalità conosciute da tutti.

Bianco è anche saggio, tutt’altro che politically correct

L’abilità di Ellis è saper presentare, a sostegno della sua argomentazione, esempi mirati: dal tracollo di Charlie Sheen (ndr: Due uomini e mezzo), all’iconicità di D.F.Wallace, alla psicosi generata dall’elezione di Trump. Il punto di vista con cui Ellis racconta tutti questi episodi hanno quindi un fine tutt’altro che scandalistico o superficiale. Sono lucide rappresentazione di quanto sostiene.

Questo libro è coraggioso: le opinioni che contiene non sono ne piacevoli ne politically correct. Le personalità a cui sono rivolte, d’altro lato, sono estremamente influenti. Ma in un mondo non più descrivibile in termini di romanticismo, ad Ellis non rimane che abbandonare i temi a lui più cari. La nuova realtà va trattata come essa stessa richiede, ovvero tramite Tweet e polemica.

Bianco si muove dunque su una terra mista, tra scritto autobiografico, saggio polemico e satira amara sull’attuale società. Mostra con cromatica purezza il cambiamento ormai avvenuto in ogni ambito (l’estetica, il cinema, la musica) e che ha infine intaccato persino la libertà di espressione. Che mai come prima nella Storia credevamo essere in buona salute.

L’era del consenso

I social, i reality così come alcune riviste, sono esponenti di un processo di democratizzazione, il cui effetto è ridurre in silenzio chi ha una voce fuori dal coro. Così vengono favorite la standardizzazione, l’appiattimento, il livellamento. Nel mondo dei social, così come nelle interviste e nelle dichiarazioni pubbliche, ogni commento viene posto al vaglio.

Che ogni cosa possa essere connotata come razzista o sessista (legittimamente o no) e sia dunque considerata nociva e intollerabile – e che dunque nessun altro debba aver modo di ascoltarla o vederla o tollerarla – è un nuovo tipo di mania, una psicosi che la nostra cultura ha incoraggiato

Ellis

Ciò che sconcerta dell’analisi di Ellis è una lampante verità: nessuno vuole più sentirsi offeso, tutti sono pronti a prendere il posto della vittima (comodo in quanto attira <<così tanta attenzione del prossimo>>), e a denunciare ogni opinione contrastante quella mainstream.

Dopo che hai creato la tua personale bolla che riflette solo ciò a cui tu ti rapporti e con cui ti identifichi, dopo che hai bloccato o smesso di seguire le persone le cui opinioni o la cui visione del mondo condanni o non condividi, una sorte di folle narcisismo inizia a deformare quest’immagine così carina

Ellis

Ellis non è una personalità anti-social, bensì un twittatore compulsivo che è stato a sua volta offeso e pregato affinché chiedesse pubblicamente scusa per i suoi tweet (scritti spesso da ubriaco). Ma l’opinione in forma di tweet dovrebbe essere interpretate come tale, ovvero un’azione <>>. Ciò che deriva da questa analisi è una libertà di espressione che pare democratica ma che in realtà è profondamente intollerante ed individualistica.

L’impatto negativo nell’estetica

Nemmeno l’arte, suprema espressione del proprio tempo, ha scampo da questo nuovo set sociale e mentale, terrorizzato e diffidante del diverso. L’arte, dice Ellis, un tempo aveva il compito di scuotere dalla propria comfort zone, far pensare l’impensabile, strappare dall’ordinario modo di pensare, scaraventare in un mondo con diversa moralità, facendo pure male se necessario. Oggi il goal è invece il consenso: l’artista si trova a dover chiedere scusa se si stacca dall’estetica che afferma nuovamente e ripetutamente l’identità, il gusto e il senso del bello comune, decisi dalla massa.

Il risultato è una società ovattata, omologata, di facile indignazione, ipersensibile, ipocrita: «Questo è ciò che accade a una cultura quando non gliene frega più niente dell’arte». Una sorta di «sindrome di Tripadvisor», dice Ellis, conferisce enorme potere all’opinione di chiunque a scapito delle voci competenti, ostracizzando quest’ultime in una repressione che favorisce il comune.

L’individuo, così come l’artista o il politico, sono soggiogati dalla “likeability” dei propri contenuti così come delle proprie opinioni: non è dunque questa una forma costante di recitazione? Bianco sta dunque gridando che la tradizione che permette all’arte di “sconvolgere e perfino ferire” sta morendo. Ellis se ne rese conto quando il suo compagno millennial, leggendo le bozze di American Psycho, lo avvisa che si metterà nei guai per quel contenuto. Perché avrebbe dovuto, dal momento che si trattava chiaramente di un’espressione artistica? Eppure, nei guai ci finì davvero.

La Generazione Inetti

Ellis sostiene che ciò è in rapporto di co-creazione con la nuova generazione, che definisce senza spina dorsale, insicura e <>: i Millennials sono cresciuti con genitori apprensivi, che ripetevano loro quanto sono speciali e che sin da piccoli si sono sentiti al centro del mondo, crescendo narcisisti e incapaci di reagire alle difficoltà. Questo ritratto coincide con la social-mania dei più giovani: un luogo ovattato a distanza di sicurezza, politicamente corretto, controllato, in cui è possibile esibire il proprio narcisismo, in cui ci si sente sempre in diritto di avere ragione e si può interpretare al leone da tastiera. E se qualcuno ha un’opinione contraria, bé, è un hater.

A gran parte dei Millennials Bianco non piacerà (tranne a quelli che si chiameranno fuori e si sentiranno migliori a dirsi d’accordo con Ellis) e della qual cosa l’autore se ne infischia. Una <<Generazione Inetti>>, composta da individui ipersensibili, iper reagenti, incapaci di interpretazione e tesi alla conformazione probabilmente a causa della iperprotettività dei genitori, ben diversa dalla tipologia di crescita nell’America degli anni ’70 raccontata nel primo capitolo.

Un esempio di nuova psicosi

Ellis in Bianco racconta della psicosi generata dall'elezione di Trump
Donald Trump

Molto forte è l’analisi relativa all’elezione di Trump. Il punto di vista controcorrente dell’autore impone una riflessione sulla posizione che la maggioranza ha assunto in merito alla questione.

La critica muove dall’esasperazione nel confrontarsi con persone che pretendono di essere nel giusto e che vedono nel presidente una sorta di incarnazione del male, nonché una figura da totalitarismo e un usurpatore. Benché tali posizioni abbiano la propria ragion d’essere, Ellis si dice stanco delle persone e dei giornali che non accettano chi la pensa diversamente (ndr: Ellis non votò per Trump alle presidenziali) e racconta di aver assistito al mutamento o alla fine di relazioni d’amicizia in seguito alla scoperta di un supporto al presidente.

L’ossessione liberal si traduce in casi psicoanalitici:

Barbra Straisand dichiarò ai media che stava ingrassando per colpa di Trump. Lena Dunham dichiarò ai media che stava dimagrendo per colpa di Trump. Dappertutto c’era gente che incolpava il presidente per i propri problemi e le proprie nevrosi, in una elaborata forma sociale di auto vittimismo […] Lo scandalo, l’indignazione, il panico e l’orrore dell’Apocalisse Trump erano in effetti solo la manifestazione dell’essere costretti a prendere atto della bolla da cui proveniva e chiedersi imbarazzati com’era stato possibile che fosse andato tutto così storto.

Ellis

La libertà di esprimere un’opinione

Molti sono dunque gli argomenti di Bianco: un misto tra spunti letterari, riflessioni sociali e temi d’attualità. Ellis dice la sua sul famoso Literary Brat Pack, racconta la gestazione di American Psycho nello stesso condominio di Tom Cruise, svela dettagli dell’amicizia con le celebrità e non nasconde gli scrittori amati e odiati.

Joan Didion, ad esempio, fa sicuramente parte del primo gruppo. Diversa la sua posizione in merito all’icona David Foster Wallace: ne riconosce il talento ma ne minimizza la venerazione avvenuta post-mortem, che ha reso cult il famoso discorso “This is water”, definito «A very special example of bullshit». Questa sua posizione, tra il rispetto da collega e la sincerità della sua opinione, attirò in passato numerosi biasimi. «Un problema crescente della nostra società», scrive, «è l’incapacità delle persone di sopportare due pensieri opposti nello stesso momento in testa, così ogni “critica” del lavoro di chicchessia viene rubricata come elitarismo o come invidia o senso di superiorità».

I libri (e le opinioni) di Ellis sono disturbanti e costringono al confronto con la sgradevole e al tempo stesso affascinante ambivalenza della vita, della società e dell’arte soprattutto. Difende una libertà in cui si possa ancora sognare <il sogno di essere un individuo e non solo la parte di una qualche tribù >>.

Una sorta di monito a non rincorrere un altro tipo di sogno, quello americano, il cui risultato è alienazione, consumismo, isolamento e un prostrarsi alla cultura delle corporation. «Non riesco a scrivere senza offendere qualcuno» diceva un tempo Joyce, mentre ora Ellis ride.

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MONICA TRENTIN

MONICA TRENTIN

Laureata in filosofia e autrice di 3 romanzi, ama le palme, i vecchi film e l'astronomia. Crede nei libri perfino come miglior arrendamento possibile. Sua norma è vivere ad una distanza minima dal mare.

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